Questa affermazione a prima vista retorica e che sa tanto di spot tv, è in realtà una conclamata verità.
La Musica ci cade addosso in ogni dove, ci può stupire mentre ci proviamo un paio di jeans nascosti dietro una tenda di qualche magazzino o mentre aspettiamo che il radiotaxi ci dica tra quanti minuti arriverà la nostra macchina o ancora mentre l’aereo rulla in pista per riportarci a casa.
Questo è certamente un ascolto “involontario” dove ci troviamo spesso a “subire” ciò che ci suona intorno, ma a volte proprio grazie a quest’approccio “occasionale” che scopriamo che “quella roba” che si infila nelle nostre orecchie è qualcosa di buono.
La Musica arriva alle nostre voglie senza preavviso e senza un preciso percorso, si insinua, magari in giovanissima età nei nostri pensieri, diventa curiosità, diventa spericolata emulazione e a volte si trasforma in passione.
Quando io ho iniziato a suonare, l’itinerario di avvicinamento alla Musica, era in qualche modo simile a quello dei nostri giorni, il “contagio” però avveniva con modalità diverse, non c’erano ne Internet ne I-Pad e la musica “liquida” non aveva ancora un inventore, ma le curiosità e le meraviglie, che solo la Musica sa regalare, ci arrivavano attraverso la vecchia radio e la neonata televisione, gli eroi dei 45 giri che ci affascinavano con i loro modi e le loro canzoni, erano i nostri oracoli.
Imparavamo le loro canzoni e le canticchiavamo magari davanti allo specchio di mamma quando a casa non c’era nessuno, poi all’improvviso a qualcuno capitava di sentire il bisogno di fare “il grande salto”
La Musica da sempre non conosce itinerari, se trova terreno fertile, attecchisce e pianta le sue radici e se quel terreno fertile sei tu, capita allora che quella Musica che ti emozione e ti esalta non ti basta più solo ascoltarla, ma “addirittura”, la vuoi suonare!
E allora “ai miei tempi”, prendevi uno strumento, quello che più ti affascinava, quello che più ti assomigliava e lo eleggevi a “tuo strumento”: il Basso, il Violino, il Piano o la Voce, la Batteria o il Flauto, da quel momento in poi diventavano la tua maniera di raccontarti in Musica e il cuore ti portava a sognare di essere “protagonista” e di li in poi inventavi, emulavi, cercavi di assomigliare il più possibile a quanto andavi ascoltando, mettendo le dita puntualmente sui tasti sbagliati fino a che quello che veniva fuori dal tuo strumento sembrava quasi uguale al tuo “modello”. Nel mio caso picchiavo su quello che mi capitava inseguendo il ritmo e scimmiottando in qualche modo “l’originale”, ma i tempi per ottenere un vago risultato erano mediamente lunghi e sicuramente faticosi.
Eravamo degli “eroici autodidatti”, ma la Musica che avevamo scelto di suonare era troppo “giovane” per pretendere che qualcuno la conoscesse al punto di potercela insegnare e soprattutto i “Maestri” che comunque arrivavano da altri mondi musicali, erano un lusso per pochi.
Oggi è un altro andare ed è impensabile credere di poter imparare affidandoci al nostro intuito o alla nostra caparbietà, arriveremmo “lunghi” ad ogni tappa preceduti e inesorabilmente distaccati da quelli che “studiano”.
Oggi è indispensabile imparare con una guida e con un metodo se si vuole crescere e passare da strimpellatori a musicisti.
Studiando si accorciano tempi e modi e a volte si fanno “miracoli”. La differenza in tutto questo la fa il docente che si decide di avere accanto. Un buon maestro è la chiave di ogni nostro dubbio e la soluzione di tutte le nostre difficoltà e i risultati saltano agli occhi.
Sono due anni che partecipo al saggio di fine corsi della FDM la “Fabbrica Della Musica ®”, di Stefano Michelazzi, una scuola nata ad Ostia Lido ormai quasi 15 anni fa e che ha fatto del suo metodo di insegnamento un gioiello di didattica tanto che, come la “Settimana Enigmistica” vanta svariati e improbabili tentativi di imitazione: dal marchio in poi come si conviene ormai in “questo mondo di ladri” per dirla alla Venditti.
In quelle occasioni mi è capitato di ascoltare “ragazzini” trasformati in pochi mesi da principianti, (a volte di poco talento naturale), in probabilissimi musicisti meravigliati loro stessi dai loro progressi.
Chitarristi alle prese con virtuosismi da professionisti, batteristi stupefacenti per il loro senso del ritmo e per la loro precisione, ragazzi e ragazze sorprendentemente cresciuti da un anno all’altro e che dietro alle loro tastiere e ai loro microfoni riuscivano a comunicare sicurezza e competenza. Un percorso veloce e fruttuoso che la mia generazione di “ostinati dilettanti allo sbaraglio” non avrebbe mai potuto neanche immaginare.
E’ evidente che grande merito di questo “miracolo”, va sicuramente al metodo e al saperci fare degli insegnanti, ma anche alle famiglie degli allievi che hanno saputo cogliere ed assecondare le inclinazioni dei loro ragazzi e soprattutto che hanno saputo individuare, magari attraverso recensioni e passaparola, i “posti giusti” dove portare i figli ad imparare.
E allora succede che da “Trieste in giù” centinaia di ragazzini “strimpellatori” vengono sfornati ogni anno dalle tante scuole di Musica, più o meno affidabili, che affollano ormai il nostro paese e tra questi, quelli che hanno la fortuna di provenire dalle strutture giuste, si sanno far riconoscere ostentando quel “quid” in più che fa la differenza.
In tutto questo, sia che qualcuno di questi ragazzi sceglierà di trasformare la sua passione in un mestiere o che rimarrà un talentuoso dilettante, avrà comunque, grazie alla Musica, imparato il senso dello stare insieme, del saper ascoltare, del saper raccontare le proprie emozioni attraverso le emozioni degli altri, del saper condividere un sogno, del poter uscire dalle proprie timidezze e soprattutto avrà dato alla propria adolescenza un indirizzo sano e lontano dagli inciampi che affollano il nostro tempo e le mamme e i papà, alle prese col mestiere più difficile del mondo: fare “ i genitori”, avranno la certezza di aver regalato ai propri figli una grande opportunità per affacciarsi alla vita con un buon senso del concreto e con un giusto bagaglio di valori.
Non a caso “la Musica ci cambia la vita”.
Stefano D’Orazio